L’anno scorso, a quest’ora, ero in ospedale per l’ultimo monitoraggio. Ero fuori conto da dieci giorni, proprio come fu la prima volta, con Allegra. Sapevo cosa mi aspettava, avevo meno incertezza, meno paura. Ero arrivata al decimo giorno con pazienza e serenità, come non riuscì a fare la prima volta. Solo una mamma può capire cosa intendo: gli ultimi giorni sono diversi e non si vuole più attendere oltre.
L’ostetrica, ormai di famiglia, che mi aveva assistita più volte negli ultimi tre anni, dopo il monitoraggio, mi disse: ” Non vuole uscire, domani dobbiamo indurti”. Mi ricordò la procedura e l’orario.
“Allora, vieni qui per le 16.00”.
“No, dai, ti prego, mi fai entrare la mattina? Che tu alle 16.00 non ci sei già più”.
“Va bene. Allora dovrà sbrigarti a partorire, perché domani esco prima per andare a prendere i miei nipoti al nido”.
Uscita dall’ospedale, mi fermai con mio marito al bar di fronte, presi un cappuccino, e ci infilammo in macchina per tornare a casa”.
Faceva freddissimo e Allegra aveva appena finito un giro di antibiotico per la febbre alta.
Anche io l’avevo presa. Anche quel giorno l’avevo, e la mattina seguente sarebbe salita.
Arrivata a casa, feci la lista delle cose da fare e da stirare, per i giorni seguenti. Feci una lavatrice e misi in ordine la casa. Ricontrollai la borsa preparto e la misi accanto al letto. Sistemai la culletta per il mio rientro, e la cameretta di Allegra. Ricordai a mio marito tutta una serie di cose da fare, durante la mia assenza.
Scrissi nelle varie chat degli amici che mi avrebbero indotta il giorno dopo.
Mangiai quasi nulla, perché mi cominciava a salire un pò di ansia. Cominciavo, pian piano, a sentire quella paura, quella dell’ignoto. Il viaggio doloroso che porta alla vita. Un viaggio sempre uguale e sempre diverso. Un’esperienza che non ha sapore per chi la ascolta, ma che è carica di ogni umore per chi la vive.
Cercai di dormire, come mi avevano consigliato. Mi giravo e rigiravo, ma nulla, ero sempre più nervosa.
Quando si fece sera, mangiai poco. Salutai Allegra, ricordandole quello che sarebbe accaduto:
“Domani mattina, mamma va in ospedale. Domani, uscirà Orso dalla pancia. Poi tu andrai comprarle un regalino per l’ospedale, come mi avevi detto. Dormirai qualche sera a casa, sola con papà, e poi tornerò io e ci sarà anche Orso con me.”
“Quindi non sarai più panciona?”
Mi misurai la febbre, e cercai di dormire.
Arrivò la mattina. Mi svegliai con una strana sensazione. Erano le sei e mezza ed avevo un fastidio che mi sembrava venisse dall’intestino.
“Che fastidio, ma forse era guasto quel finocchio di ieri sera? Lo sento qua, tocca, mi fa quasi male. Ma che palle, proprio ora che devo andare in ospedale. Tu stai bene?”.
E, naturalmente, non era il finocchio, ma una bambina che era scesa, improvvisamente, durante notte. Una bambina che si stava facendo strada dentro di me e che era quasi pronta a vedere il mondo che l’aspettava.
6 Comments
Che magia! Un modo magico di descrivere questi momenti. Abbiamo il sequel? 😛
Ahhaha no, mi sa di no. Io aspetto il tuo di racconto 😉
Ossignore, io sto facendo il conto alla rovescia, mancano 8 giorni e spero tanto di non andare lunga, anche se qui niente si smuove. Hai proprio ragione, gli ultimi giorni sono diversi, dilatati, assurdi, difficilissimo descrivere le sensazioni!
Si è mosso qualcosa nel we?
Macché -.-
tieni duro e fammi sapere!