Siamo Rappresentanti di Classe, non siamo delle Sante. Siamo quelle mamme che-ve-lo-dico-a-fare a cui è rimasto il cerino corto in mano, che avranno solo oneri, negli anni scolastici, rimanendo nella storia come quelle che non avevano un cazzo da fare.
Si sa, la rappresentante di classe è donna, è quella che si realizza nelle chat di classe, che si aggrappa a quella mansione per avere una dignità. La rappresentante è la casalinga che, poraccia, non ha una vita, non ha ambizioni, ha tanto tempo libero: quando ha finito di pettinare le bambole, mette lo smalto alle unghie delle paperelle e, visto che la giornata è lunga, non sapendo cosa fare, scrive nella chat di classe e presenzia alle riunioni di istituto, gli unici motivi di vanto che le sono rimasti nella vita.
La leggenda narra che la prima rappresentante di classe, nella storia della scuola, non aveva figli, non li voleva, odiava persino i bambini, ma visto che nella vita era una poraccia, fece un figlio -o forse lo ha rapito perché, a guardalo bene il bambino non le somigliava affatto- appositamente per avere uno scopo. Una ragione di essere.
Faccio la rappresentante di classe, ergo sum.
Ad inizio anno, durante la prima riunione di classe, le educatrici, le maestre, le professoresse- anche nella versione maschile- fanno vivere momenti di terrore ad ogni genitore, mostrando di non avere alcuna pietà, con la fatidica domanda: Quale mamma si vuole candidare come rappresentante di classe?
Se hanno anche solo 18 mesi di esperienza, le maestre, danno che per scontato che si tratti di una donna, e nonostante abbiano un vocabolario da Nobel per la Letteratura, non riescono a dire quella parola: Papà. Forse anche a causa dell’esigua presenza maschile, durante le riunioni. I papà, quando ci sono, si vergognano, perché sono pochi in aula, temono che qualcuno possa insinuare che la loro virilità sia in letargo . Sicché vedi che, per sfuggire all’imbarazzo, alcuni dicono di essere solo gli amanti delle mamme assenti, altri di essere maniaci ma anche tecnici di zoom, se la riunione fosse svolta on line. Tutto è meglio di un padre in un mondo dove le pari opportunità e le quota rosa sono totalmente invertite. Inspiegabilmente, nessuno combatte a favore della loro causa, spiace vedere come neanche Bruxelles si mobiliti o che non ci sia Papà Pride.
Ma torniamo a quella domanda infangante, capace di scatenare le più terribili ed arcaiche paure. Come dice il vecchio adagio: domandare è lecito, rispondere è cortesia. Ed ogni maledetto anno, in qualsiasi scuola di qualsiasi grado, i genitori sono tutto inspiegabilmente ed irrimediabilmente scortesi. A quella frase, giunge il silenzio. Pure la persona più logorroica del pianeta, tace. Per sempre.
A quella domanda, i genitori tornano bambini: chi si allaccia le scarpe, chi si gira dall’altro lato, chi tira aeroplanini di carta ai compagni, chi si spinge più in là: nonna morta da poco, quindi non ho fatto i compiti; ero in bagno non ho sentito; chi rinnega la maternità o la paternità e chiede dove poter fare l’esame del dna.
Poi, arriva quella voce: “Io non posso, perché lavoro”. La voce, con 5 parole, ha un effetto dirompente, spezza il muro di omertà e partono, in una sorta di eco: “Anche io, anche io, anche io”. In alcuni casi, distrattamente, lo ripetono anche le maestre, hai visto mai, rimanesse a loro il cerino.
Io non posso, perché lavoro, ha un significando profondo, recondito, stigmatizzante: Chi diverrà rappresentante non ha un caxxo da fare.
E siccome ad un certo punto uno deve cedere ( fosse anche perché distratto con i lacci delle scarpe, non ha fatto in tempo a dire Anche io) quella mamma- quasi sempre- passerà alla storia come quella che Meno male che ha questo incarico, altrimenti sarebbe morta di inedia. In realtà, dovrebbe pagare gli alti genitori che le hanno conferito uno scopo nella propria vita, ma nessuno glielo fa pesare.
A me è bastato dire, per imbarazzo, qualche anno fa, “Io … uhm… se nessuno è disponibile…” per far scattare brogli e votazioni che avrei potuto citare lo stato della Pennsylvania. Il cerino mi è rimasto in mano, questo è quanto.
Siamo Rappresentanti di Classe, non siamo delle Sante.
Perché da quel momento, quando tutti si rasserenano, avendo trovato il capretto da immolare, partono le più svariate domande: lamentele, proposte, mail, messaggi, video, audio, tutti diventano incontinenti di parole ed emoticon. Nessuno più lavora.
Danno per scontati i nostri interessi nei confronti della classe frequentata anche dai loro figli, per cui nessun grazie e prego, manco a dirlo, nessuno pensa che dovremmo ricevere il regalo di Natale e quello di fine anno, prima ancora degli insegnanti. Nonostante questo, tutto sopportabile, spesso, veniamo confuse con l’Accompagno. E’ a noi che ci si rivolge per sanare una disputa, avanzare richieste imbarazzanti verso il corpo insegnati, ma anche informazioni sul traffico, visto che ci siamo.
E poi arriva lui. Il Papà. Perché ci sono, pochi ma buoni direbbe qualcuno. Infatti noi mamme siamo tante ma di qualità scarseggiamo, evidentemente Il papà rappresentate viene celebrato come manco Gesù, durante il suo ingresso trionfale a Gerusalemme, rami di ulivo, colombe e panettoni.
Lo si ringrazia perché toglie tempo al lavoro, per interessarsi al figlio. .Lui, che nonostante abbia uno scopo, non come le altre scappate di casa, si immola, porta il grande fardello. Lui, che, al contrario dell’epitaffio lapidario della mamma rappresentante ” Scusate se sono esistita, e grazie per avermi dato vita con questa qualifica”, avrà ” L’Uomo, il lavoratore, l’ottimo padre, che ha preso parte alla vita della comunità in modo eccelso, dando dimostrazione che si può fare tutto, quando si è persone eccezionali”.
Siamo Rappresentanti di Classe, non siamo delle Sante. Credevamo che fosse segno di interesse per i propri figli, sostegno alle altre famiglia. non una lettera scarlatta.
Siamo Rappresentanti di Classe, non siamo delle Sante. Siamo buone e care, ma se ci fate incazzare, vi chiediamo livelli contrattuali, numero ore settimanali, buste paga e posizione Inps, per sapere se davvero con quegli “Anche Io” avevate ragione o cercavate solo una scusa per passare la palla verso qualcosa che, diciamocelo fuori dai denti, non credevate abbastanza importante per voi.
No Comments