Aborto. Quella parola che non vorresti mai sentire

Giugno 2016, sono incinta. Allegra ha otto mesi. Io mi sono lasciata alle spalle il dolore ai polsi ed il ricordo di un parto problematico. Incinta e felice. Questa volta, a differenza della prima, penso di sapere cosa mi aspetta e questo mi rassicura.

Ricordo la mia incredulità, quando me lo disse. Quando, dopo aver scoperto che avevo 39 anni, dopo la sua poco velata disapprovazione per aver concepito la seconda figlia, nonostante la mia età, mi fece l’ecografia.

Io me ne fregavo di quello che trasmetteva il suo sguardo, figuriamoci! Certo che quell’insistenza sulla villocentesi, mi aveva stufato. Non era quello il momento e certamente non lo avrei deciso con lei, in uno studio ginecologico dove non sarei più andata! Dove le future mamme indossavano il copricostume e le infradito. Che bello, però. Chissà se la pancia, a sto giro, mi si vede subito, come quella mamma.

Ecco cosa erano quei dolori notturni. Inizialmente pensavo fossero le mestruazioni, poi, i sintomi della seconda gravidanza. Ma non avrei mai potuto immaginare. Com’era quella storia: se sei positiva, ti succedono cose positive, se sei negativa ti succedono cose negative. Cosa mi avevano scritto certe mamme, quando avevo condiviso l’esperienza del mio parto, a dir poco complicato? Non ascoltatela. Lei non si è posta bene, non lo ha affrontato bene, altrimenti, sarebbe stato più semplice.

Il feto è piccolo. Stia a riposo. Prenda questi ovuli. Torni fra qualche giorno e rifacciamo un controllo.

Letto. Riposo. Non dirlo a nessuno. Lo custodisco come fosse un segreto. Ma andrà bene, non può essere altrimenti.

Ma è stata a letto? Ha riposato? La situazione non mi sembra migliorata. Faccia un’altra visita, fra qualche settimana. Ah, ricordi, la villocentesi alla sua età. 

Le ricordo quelle luci. Le gambe dilatate. I piedi bloccati. La lacrima leggerissima, nell’angolo dell’occhio. Ricordo la sua carezza e la sua voce.  “Buongiorno, sono io. Mi riconosce? Sono la dottoressa che l’ha visitata ieri. Andrà bene, fra poco l’addormenteremo”.

Controllo.

Oggi si muore: che caldo in questo ospedale! I vagiti dei bambini appena nati e la ressa dei parenti. Ci sono anche io. Mi sento così piccola lì in mezzo. Mentre mi fa l’ecografia, spiego tutto. Racconto di quei dolori, quei crampi notturni. Come diavolo potevo immaginare! Tutto può essere sintomo di una normale gravidanza, come anche di normali mestruazioni. Racconto della ginecologa del mare, di cui avevo letto recensioni positive su internet. Dico del riposo a letto (forse non mi sarei dovuto alzare per niente? Me lo domando anche oggi) degli ovuli, delle ecografie precedenti. 

Si è riassorbito. Il battito c’è. La situazione si è ripresa, mi dice. Poi, certo, siamo sempre nelle mani di Dio.

Sorrido. Sono serena. Lui è felice. Lo dicevo che non poteva andare male. Anche se la certezza iniziale mi ha abbandonata. Prenoto un controllo in ospedale, quello dove ho partorito, al mio rientro. 

Riprendo tutto come niente fosse, cerco di non pensarci troppo. Trascorro gli ultimi giorni di vacanza più felice, ma non è più come prima.

Sto aspettando che chiamino me. Mi hanno dato un letto. Aspetto, chissà quanto ci vorrà, io spero subito, voglio lasciarmi alle spalle questa maledetta situazione. Non voglio piangere, l’ho già fatto questa mattina, fra le braccia dell’ostetrica. Lui aveva bisogno di piangere con me, ma io non ce l’ho fatta. Non è colpa mia.  Faccio battute. Ogni tanto ridiamo della confusione dell’ospedale. La coppia accanto a me è triste, abbattuta. Io dico a mio marito che non voglio essere così. Con loro non ci parliamo. Non è che ce l’ho con lei o con lui, ci mancherebbe. Loro stanno vivendo un dolore. Noi facciamo finta di no. Meglio non parlarsi troppo, sennò si rischia di guardarsi allo specchio.

Durante il viaggio di ritorno, in autostrada, Allegra vomita. Le è capitato un’altra volta, in auto. Questo viaggio sta durando troppe ore, non ce la faccio più. Fa caldo. Non vedo l’ora che arrivi domani mattina. Faccio questa visita e mi tolgo davanti sto cazzo di pensiero. Quello che non c’era all’inizio, ma che ha messo radici, al mare, quando avevo scoperto che l’inizio della mia gravidanza non era come avevo immaginato. Quando mi avevano detto che c’era un maledetto buco ed una crescita anomala. Lo ignoro quel pensiero, ma non basta. Ormai c’è. Solo la visita di domani può sbatterlo fuori dalla mia testa. Allegra è brava in auto, non si lamenta mai. Lei è troppo piccola, non sa niente. Sarà felice di avere una sorellina o un fratellino così presto? Certo che avrò, avremo, il nostro da fare con due bambini così piccoli. Se lei o lui è bravo, fra un paio di anni “facciamo” il terzo? Chissà che direbbe la ginecologa del mare. Facciamo questo controllo, domani, e vediamo. L’auto riparte, non siamo più incolonnati, ma il traffico continua, Milano è ancora lontana, come tutto il resto.

Quella mattina mi accompagna anche lui. Lo prendo in giro, gli dico che alla prima visita di Allegra non c’era, lui dice di no. Aspettiamo il turno. Mi sembrava fosse  la mattina del 29 agosto, se non ricordo male, e mi scappa la pipì: se mi chiamano, gli dici che arrivo? Mi scoppia la vescica.

Ovviamente, mi chiamano ed io sono in bagno. La ginecologa mi sorride e mi accoglie, lui le ha già fatto un sintetico riassunto della mia estate. Va bene, ora controlliamo.

” Aspetti. Un attimo…..Scusa, vieni a vedere anche tu?”

” Dottoressa, cosa c’è?”

” … Non c’è il battito. Aspetta, però. Andiamo di là, all’altra macchina. Rifacciamo un controllo,  queste notizie sono delicate, preferisco verificare di nuovo. Il battito. No. Non c’è il battito, mi dispiace”.

La lacrima, la sento. Tento di bloccarla. Non deve uscire, dove cazzo va. 

Lei mi parla ed è di una dolcezza che non può essere un medico, una sconosciuta. Sarà un’ amica, dai, sembra che le interessi davvero quello che mi sta succedendo. Lui mi stringe la mano, mentre piange dentro.

Il borsone della Reebok  lo avevo comprato alla Decathlon, anni prima. Quello di  Cairoli. Si dice a Cairoli o in Cairoli? Boh, per me è Piazza Castello, comunque. Lo avevo usato per la piscina e poi come borsone preparto, ad ottobre 2015. E’ passato solo un anno, possibile? Allegra non lo sa che lo sto preparando per andare in ospedale, perché il fratellino o la sorellina non c’è più.

Ci metto dentro quello che potrebbe servirmi per il raschiamento.

Le ricordo quelle luci. Quella luce che mi spara addosso. Mi fissa. Loro no, parlano della donna di prima. L’avevano fatta aspettare al freddo, mezza nuda, con le gambe bloccate, perché il ginecolo non arrivava. Ecco, perché era arrabbiata, oltre che addolorata, la donna accanto a me.

Ho le gambe dilatate. I piedi bloccati. La lacrima leggerissima, nell’angolo dell’occhio. Ricordo la sua carezza e la sua voce. “Buongiorno, sono io. Vede? Sono la dottoressa che l’ha visitata ieri. Andrà bene, fra poco l’addormenteremo”. 

 

 

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