Carrozze per sole donne o per soli uomini?

Dopo l’ennesimo caso di violenza sessuale, ai danni di una ragazza, a bordo di un treno, da parte di due delinquenti, si torna a parlare della sicurezza. Della sicurezza sui treni, come se il problema che noi donne viviamo, sin da bambine, viaggiasse sulle rotaie e fosse risolvibile isolando le donne su specifici vagoni. Anni fa, a Tokyo, mi meravigliai nel vedere, in metropolitana, i vagoni per sole donne, di cui avevo sentito parlare come di una leggenda orientale. Il Giappone, che mi sembrava iper-moderno, con una cultura in continuo divenire, possibile dovesse combattere con il problema della mano morta? Dall’altro canto, pensai, lì per lì, come potesse essere una soluzione transitoria e contestualizzata a situazioni in cui non ci si sentisse sicure, per evitare molestie, di fronte alle quali, potrebbe testimoniare ognuna di noi, raramente c’è qualcuno con voglia di aiutarci.

Ovviamente, il vagone per sole donne non è affatto una soluzione. È  una sconfitta per il sesso debole: il maschio. Una sconfitta che, stranamente, danneggia noi: per un strambo meccanismo di azione reazione, paghiamo noi lo scotto dell’imbecillità di moltissimi, dell’ignoranza di altri, della criminalità di altrettanti.

La violenza sessuale, sotto forma di molestie fisiche e verbali, ci perseguita sin da bambine. È un fatto culturale che stiamo cominciamo a contestare oggi, ma con piccoli risultati, perché le stesse donne, a volte, minimizzano o si colpevolizzano. Le  radici sono così profonde, da fare arrossire Adamo.

Alcune donne ragionano con il cervello del maschio e non riescono neanche a vedere il problema. Altre, troppe, preferiscono perdere tempo ed energie con le solite nauseabonde osservazioni sulla mancanza di solidarietà femminile o sull’invidia fra donne (tutti concetti inventati dagli uomini, lo capirebbe anche un bambino di un mese) anziché aprire gli occhi e combattere, ogni giorno, per scardinare il sistema malato nel quale viviamo.

Più di una volta, da ragazzina, sono stata oggetto di attenzioni maschili, per fortuna molto limitate, che mi hanno turbata e spaventata. Gli autori erano uomini che mi potevano essere padri, e non avevano remore nel manifestare sguardi o frasi, in pieno giorno, in mezzo alla gente. E no, non ero in un vagone di un treno. Oggi, quegli uomini sarebbero chiamati pedofili. E se, alla frase, al gesto, fosse seguita l’azione, non sarei qui a scrivere con serenità.

Più volte, da donna, sono stata molestata verbalmente, mentre camminavo per strada.

Quando facevo tardi la sera, da ragazzina prima, da donna poi, ero sempre in ansia, al pensiero della strada che mi aspettava, per arrivare a casa.

Noi donne lo sappiamo, lo sanno anche quelle che hanno una testa misogina, patriarcale, violenta: siamo animali braccati, la sera, la notte, quando torniamo dopo una cena, la discoteca, il bar. Lo siamo in pieno centro come in periferia. In jeans o in pantaloncini. Non importa se siamo giovani o vecchie, belle o brutte. Abbiamo paura. Chi dice diversamente mente. 

Il parlare di vagoni per sole donne, in un Paese come il nostro, estremamente arretrato, dove il sessismo ha messo radici ovunque, dove ci si domanda ancora ma come eri vestita; che ore erano; perché eri andata lì; ma dai è una ragazzata; non esageriamo; non mi meraviglia affatto.

Io quel treno l’ho preso molte volte. Anni fa, quando tornavo dal lavoro, alle sei del pomeriggio, le colleghe che scendevano prima di me, mi consigliavano sempre di continuare il viaggio nel vagone più affollato. Come fosse normale si potesse incappare in un maschio con problemi. 

Allora, vi dirò, se crediamo che non si possa fare nulla, se non vogliamo fare nulla per educare al rispetto, per estirpare una questione che ha più a che fare con il disprezzo, il potere, che il sesso, io ci sto alle carrozze del treno per categoria. Ditemi dove devo firmare, e io firmo.  Ma non voglio la carrozza per sole donne, no!

Io pretendo quella per soli uomini. Perché il problema è loro, è vostro. È del criminale, dell’ignorante, del bigotto, dell’indifferente.

Siete voi che meritate di essere relegati, magari anche per fascia oraria, zona geografica, quartiere, abbigliamento, siete voi ad avere un grosso problema, non noi. Voi avete bisogno del burqa, ma che vi copra anche gli occhi. Delle colonie, per vivere in cattività. Della carrozza riservata, per farvi la mano morta a vicenda. 

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