Il Festival di Sanremo come le elezioni del Presidente della Repubblica. È Beautiful, il Grande Fratello e tutti i baracconi, ben studiati, rodati, che se quelle menti brillanti si fossero impegnati per debellare il covid, già ne staremmo fuori da un pezzo. Sanremo come la routine della nanna, per i neonati.
Si poteva scrivere un pezzo sul Festival di Sanremo nell’edizione del 1989 e poi mandarlo in stampa, ed on line, ogni anno successivo, cambiando solo il nome del vincitore. Nessuno se ne sarebbe mai accorto. E chissà che qualche testata non lo faccia, indisturbata, scaltramente, ritoccando con perizia, ad arte, solo qualche battuta sulla profondità dello spacco.
La settimana del Festival di Sanremo potrebbero scoprire la cura contro il cancro, quella contro i risvegli notturni dei nostri figli, ci potrebbe essere il primo uomo rimasto incinto, la prima donna che non trova i calzini, il primo figlio che mette a posto la camera senza essere minacciato, ma nessuno se ne accorgerebbe.
Dalle 20.30 circa, con l’inizio della trasmissione, una fetta della popolazione italiana, troppa, si incolla davanti alla tv, a caccia di chi inciampa mentre scende le scale, del vestito di quella che dai è una cessa, hai visto che capelli le hanno fatto. Sempre le stesse frasi, come fossimo nel film Il Giorno della Marmotta, eppure la nostra dedizione manco la sera del primo sbarco sulla luna.
Se ci dicessero che, su un altro canale, si stia parlando di come diventare immortali o rifarsi le tette senza cacciare soldi, o di come fare più like su Instagram, non si smuoverebbe un dito, sul telecomando. Ed ho detto tutto.
Il Festival di Sanremo è la tradizione. Un rito. Un atto di fede. In un Paese dove la tradizione è non cambiare nulla, Sanremo è il male che ci meritiamo.
Saremo è la routine del bagnetto, della ninna nanna, della messa a letto. Ne abbiamo bisogno. Senza di quello non sapremmo cosa fare, cosa dire, cosa pensare. Il giorno dopo ci sveglieremo stanchi, con i ritmi circadiani in cerca di autore.
Il Festival di Sanremo è una prova di inclusione. Se non lo guardi e la gente ancora ti parla, se dici che Fiorello non ti fa ridere, e trovi ancora qualcuno che ti saluta, sei salvo.
Il Festival è come Beautiful, se lo segui tutti i giorni, per anni, è un’eterna sofferenza. Se non lo vedi per un lustro, non ti sei persa nulla, recuperi in un attimo i pochi eventi accaduti, e sei subito al passo. È profondamente ingiusto con te, che tanto tempo gli hai dedicato: quando hai cominciato a seguirlo eri minorenne e con tutta la vita davanti, ora tu hai l’aspetto di di Beppe Vessicchio, Ornella Muti e Finché la barca va paiono le figlie tue.
Sanremo è come il Grande Fratello. Una certezza. Ci fosse pure una guerra nucleare, e radio Londra, lo farebbero e sarebbe tutto sempre lo stesso. Sai benissimo quanto aspettarti: per una bestemmia vai fuori, invece, se commetti un omicidio hai buone speranze di cavartela con un ammenda in pillole, puntata dopo puntata.
Seguire Sanremo è un supplizio è l’inferno in terra. Pensare al masochismo che c’è in giro, e a quanti laureati ci sono in psicologia, senza un minimo di iniziativa, che potrebbe salvarci da un disturbo da stress post-traumatico, viene da pensare se c’è rimasta un pò di umanità in giro.
Chi sarà la valletta. Ecco, vedi? Sempre il presentatore maschio con le veline. Quello è ancora vivo, non è morto un paio di anni fa? Ma no, quello era il fratello. Il vestito bellissimo, però non le sta bene.
E poi, senza un minimo di pietà per il nostro cervello, un segno di rispetto per il quoziente intellettivo dell’italiano medio, arriva lei. La battuta sulla difficoltà, per una persona senza alcun problema motorio, e che ha passato gli ultimi 48 mesi ad esercitarsi, di come scendere le scale. Come se scendere quella scalinata come fosse la prova più difficile che si possa supera nella vita. Tra Indiana Jones e le prove Invalsi. Tra l’esame di avvocato e il tiro alla fune, al compleanno di Sofia. Come fosse Atreiu ne La Storia Infinita, quando deve passare il confine, salvare Fantasia, sperando che le Sfingi non sputino fuoco. Se non inciampi, mentre scendi quei ripidi scalini, puoi sconfiggere la depressione, il colon irritabile, la stipsi, il sudore sotto le ascelle all’esame per la patente. La prova è spericolata, pericolosissima, al cardiopalma, considerando pure il vestito lungo, lo spacco, la panciera e i tacchi alti. Cazzo!
E noi, poracci, che veniamo messi in crisi da un paio di gradini, quelli del portone di casa, quando abbiamo un passeggino. E siamo vestite di merda, eh!
Ma, soprattutto, Sanremo è come l’elezione del Presidente della Repubblica. Anche quella puoi non seguirla, tanto sai già chi si gira nel letto al Quirinale. Con tutti gli head hunter che ci sono, le agenzie per il lavoro interinale, le piattaforme tra domanda ed offerta, niente. Non ci sono candidati all’altezza e il ruolo viene ricoperto da una risorsa interna.
Un uomo. Un uomo che chiama un suo amico. I due ridono. Il pubblico ride, glielo ha chiesto, San Michele Arcangelo, in sogno. Loro si devono fidare, mentre aspettano il miracolo.
Il pubblico in sala è come quello delle feste di paese, con le sedie di plastica. Dieci file. Le prime cinque occupate da sindaco, assessori e parenti e conoscenti sino al sesto grado di mazzetta, le altre, occupate da gente che si prenderebbe a morsi, per accaparrarsi la sedia vicino all’amica, tanto del palco non glie frega un cazzo, che è comunque troppo lontano e non vedrebbe nulla!
La certezza di Fiorello. Il compagno di classe, di comitiva, che tutti abbiamo avuto. All’inzio ci faceva troppo ridere. Dai, ti prego, mi fai l’imitazione del prof di mate? E poi, lentamente, non faceva ridere più manco se stesso. Solo che lui, l’imitatore comune, con grande fatica e tristezza, ce la fa a capire che ogni cosa ha il suo tempo e deve lasciare spazio ai giovani, mentre i signori dello spettacolo no. Non mollano. Contano sull’amico che ti chiama. Sull’Arcangelo. Sull’atto di fede del pubblico.
Perché Fiorello è come Draghi. Te deve piacè per forza. Taci, altrimenti. In caso contrario, ogni parola che dirai potrà essere usata contro di te, in tribunale.
Sanremo: la devastante certezza che nulla cambia ma, soprattutto, manco si distrugge. Verrebbe da chiedersi se andasse in onda su Netflix, non potendo contare sui coetanei di Morandi, cosa succederebbe.
E, a proposito di Morandi, io credo che pure gli artisti la vivano come un’agonia. Che si devono inventare per attirare l’attenzione sulle canzoni? Ah si, ci sono: si devono inventare il battesimo fai da te. Kit completo per il sacramento per eccellenza, se ne compri due, il terzo è gratis. Puoi scegliere fra matrimonio ed estrema unzione, data la stretta correlazione dell’umore, in alcuni casi.
Perché Sanremo è Sanremo è un marchio, un claime. Se lo sono inventato, il claime intendo, non il Festival, per una ragione. Una sorta di Excusatio non petita, accusatio manifesta. Hanno messo le mani avanti, in pratica. Se speri di trovarci una donna come presentatrice, o un tapis roulant l’errore è il tuo.
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