Qualche giorno fa, su un gruppo fb, una mamma si dichiarava disturbata, in quanto, il figlio (di 4/ 5 anni) le aveva raccontato di aver saputo della guerra, a scuola.
Sotto il suo post si sono aperte due fazioni contrapposte: madri che non erano d’accordo fosse la scuola ad occuparsi di questo; mamme che, invece, proprio in virtù del fatto che i bimbi passano più tempo a scuola che con noi, educatrici ed educatori, maestre e maestri, possano valutare se e come affrontare l’argomento.
In primis, io ho pensato che, alla materna, è arduo parlare di guerra, e che potrebbe anche essere superfluo, vista l’età. Premesso questo, qualora lo avessero fatto in classe di mia figlia, mai mi sarei alternata. Ho assoluta fiducia nelle sue educatrici e nella sua scuola, altrimenti avrei scelto un altro istituto, perciò, avrei semmai chiesto spiegazioni alle maestre, per capire come mai ne avessero parlato, e in che modalità. Anche per allinearmi e non confondere mia figlia.
Quella sera, ho deciso di parlare con sua sorella, che invece frequenta la prima elementare, di quello che sta accadendo. La guerra non è cosa da bambini, verrebbe da dire, eppure, in questi istanti, dei bambini stanno scappando dalle loro case, nella migliore delle ipotesi.
Certamente, voi direte, ci sono Paesi in guerra, da sempre. Non è il primo conflitto in cui vengono coinvolti i bambini, anche da quando noi abbiamo figli. Sicuramente, aggiungo io, il fattore geografico, come anche la follia di Putin (l’uomo che se avesse mai avuto la necessità di stirarsi una camicia, forse non avrebbe avuto il tempo ed il lusso di impazzire) mi rende più inquieta.
Come raccontare la guerra ai bambini
Tornando a noi, per mia figlia ho cercato di trovare le parole che ritenevo più giuste, sicuramente l’ho turbata lì per lì, ma non me ne sono pentita. Se non possiamo garantire ai nostri figli, né da bambini, né da adulti, un mondo privo di pericoli e cattiveria, ma anche semplicemente di cose tristi, è meglio parlarne. Non sono necessarie le immagini (più che altro perché ritengo che esse abbiano solo il potere di assuefare e non di sensibilizzare) ma le parole giuste, sì.
La famosa campana di vetro, ad un certo punto, si romperà e penseremo sempre che sarà troppo presto. Tanto vale parlare, raccontare, dare la possibilità ai nostri figli di trovare in noi (o nella scuola) le risposte. Se non siamo in grado di argomentare – io stessa mi ci metto dentro – cerchiamo aiuto. Scuola, libri, articoli, specialisti, possono esserci di supporto.
Consigli su come spiegare la guerra ai bambini
Io non ho alcuna competenza per poter fornire consigli in questo settore, per questo, ciò che farò è elencare dei principi di ragionevolezza, che mi sento di condividere e che applico, come mamma su molti temi, rimandandovi successivamente ad un video, semplice e sintetico, su come spiegare questa guerra ai bambini.
Quando dobbiamo spiegare tempi spinosi, che pensiamo essere materia delicata anche nelle nostre mani, come la guerra stessa, ecco qualche consiglio:
-Informiamoci in modo approfondito
-Cogliamo le occasioni, per aprire il discorso
-Parliamo in modo calmo, sereno
-Se non siamo pronti, rimandiamo, verbalizzandolo
-Non diamo risposte frettolose o non corrette
-Quando parliamo di guerra, non sovrapponiamo Putin (in questo caso) con il popolo russo
-Facciamo capire che le responsabilità, anche se in misura diversa, sono di tutti
Il pericolo che i bambini pensino ai russi come ai cattivi, o che possano semplificare in buoni contro cattivi, il concetto di guerra, è concreto e pericoloso. Non abbiamo bisogno di creare terreno fertile per pregiudizi, intolleranze ed ignoranza, perché queste sono proprio alla base di molti problemi seri e di violenza anche fra ragazzi.
Vi rimando a questo video, trovato su you tube, per spiegare la guerra ai bambini. Se non vi piace, cercatene altri, ma non girate lo sguardo da un’altra parte.
È un compito duro, ma qualcuno deve pur farlo
Al di là della guerra, e facendo un discorso più generale, non si può sentire dire ad un genitore che non parlerà ai propri figli dei social, perché non li conosce; o di sesso, perché è un argomento che mette in imbarazzo; non parlerà di rispetto e consenso, perché suo figlio/a non ne ha bisogno; non affronterà l’argomento del bullismo, perché a suo figlio/a non capiterà.
Se non ne siamo capaci, ok. No problem. Chiediamo aiuto e confrontiamoci, sempre in modo costrittivo e non disfattista o fatalista, anche con i genitori degli amichetti di nostro figlio, per unirci nella ricerca di un aiuto.
Se non vogliamo parlare di guerra, perché non vogliamo turbare precocemente i bambini; o di morte, perché sono piccoli; di bullismo, perché i nostri sono dei santi, non va bene.
In questi casi, il problema non sono le parole che ci mancano (possiamo prendere in prestito quelle di qualcuno più bravo di noi, non c’è nulla di male) ma il punto è che crediamo in questo modo di proteggere i figli, regalandogli solo esperienze positive.
Allora, forse, più che mamme e papà, saremo stati più adatti a metterci il costume di Prezzemolo, ed andare a lavorare a Gardaland, per regalare solo sorrisi ed un abbraccio verde da immortalare.
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