Mi sono dimenticata di raccontarvelo. Parecchie ere fa, cioè quando ad Aprile c’erano le temperature di Novembre, sono andata da Zara a comprarmi una giacca. Una giacca di un punto di blu bellissimo e di un cotone che non potrò indossare quest’anno perché, da quell’Aprile che era Novembre, siamo passati direttamente alla desertificazione della Lombardia.
Ad ogni modo, mentre ero lì, con quel fare tipico di una quarantenne che va da Zara, e che non sa se le conviene comprare, con il rischio di trovarsi accanto ad una diciannovenne che indossa il suo stesso capo, da lì l’inevitabile confronto dal quale uscirebbe moralmente abbattuta, l’ho sentita.
Ho sentito una conversazione di cui volevo rendervi partecipi.
Ho assistito a come si sente una mamma, oggi.
Immobile, indecisa se rischiarmela o meno, questa ipotetica scena di nonna e nipote vestite uguali, mentre avevo le braccia piene di capi e grucce, che facevano di me più uno stand che una persona, le mie orecchie hanno captato la conversazione di una coppia qualunque.
Lui: “Questo vestito lo abbiamo già visto”
Lei: “Ma cosa stai dicendo? Era H&M non Zara, hai capito? Ora siamo da Zara!!!!”
Lui: “Ok. Comunque guarda questo, ti starebbe bene. Perché non lo prendi?”
Lei:“ Ma cosa stai dicendo? E secondo te con questo vestito dove vado eh? Dove vado? A portare i bambini al parco?! Quello faccio. Vado al parco con questo vestito, secondo te?”
Ed è lì che ho pensato questo.
Vorrei venire da te ed abbracciarti. Non ti conosco, non so cosa tu faccia, quanti anni hanno i tuoi figli, qual è il tuo stile di vita. Ma vorrei abbracciarti. Perché lo so, ti capisco. So che ha a che fare con lui ma non è lui. È tutto molto più grande di lui.
È essere la migliore della classe, quella dalle grandi ambizioni, che ha letto di tutto nella vita e sapeva di poter fare qualunque cosa, e trovarsi a dire “bu, ba, bui, ci ci ci”, per mesi che sembrano anni o forse per sempre, con qualcuno che ti dice, con sufficienza, “ Ah, tu fai la casalinga”.
È essere una brava studentessa, più brava dell’uomo che hai sposato, rispetto al quale lavori di più, per dimostrare sempre qualcosa ma non hai ancora capito cosa, e guadagni di meno, ma speri, speri sempre. Dai il massimo anche con i figli, perché sei stata programmata per dare e fare e dire sempre al massimo delle tue capacità, ma questo ti stanca e ti senti pure in colpa.
È essere una donna italiana, in un Paese dove se fai un figlio o due figli fai quello che si aspettano da te, stop. Dai tre figli in avanti, sei lodata ad ogni semaforo, che manco la madonna a Lourdes., perché grazie e te il genere umano non si estinguerà. In entrambi i casi, sei una figura mitologica: devi lavorare ma non devi lavorare, devi essere economicamente indipendente ma non lo devi essere, devi fare la madre senza fare troppo la madre. Sempre troppo giovane, troppo vecchia, troppo donna, troppo mestruata, troppo in menopausa.
L’ ho capita quella donna, quella mamma, senza sapere nulla di lei.
L’ho capita perché, sorelle care, siamo tutte quella donna. E se non lo siete ora, lo siete state o lo sarete. Spesso, pur passandoci, lo dimenticherete e sarete pronte a giudicarla. Quella donna lì.
E lei, quella mamma che non comprerà da Zara, è anche colpa vostra.
Ho pensato, mentre ero un manichino ambulante, che dopo 3 minuti lei sarebbe tornata “normale”, “calma”, “serena”, ma sotto la sua pelle c’era quello che avevo sentito io, e che l’essere una persona ragionevole, anche educata, non esclude quella rabbia alla quale avevo assistito.
Ho pensato anche a quante e quanti l’avrebbero giudicata: il marito era stato gentile, premuroso, non aveva risposto, in fondo, è lei che lo aveva aggredito per un non nulla. Ho pensato a quante volte siamo dalla parte sbagliata. Quella dell’apparenza di una premura che non è in grado di fare manco effetto placebo.
Quella premura, sicuramente sincera, spontanea, non era però così profonda da lenire le sue ferite. Perché quando una persona reagisce in quel modo per un pezzo di stoffa, non lo fa per il vestito, ma lo fa perché si sente sola, come donna e come compagna di vita e mamma dei tuoi stessi figli. E questo non va bene. Non deve più andare bene.
Ho pensato al fatto che ci aspettiamo che le donne siano sempre di una dolcezza infinita, fatta di coccole e premura, di quanto la pazienza, l’accoglienza, il rispetto degli spazi del maschio di casa, debbano, ancora oggi, essere i caratteri distintivi di noi femmine. Verso quel compagno che qualunque cosa faccia, ci deve andare bene. Sempre.
Ho pensato che le coppie vere, quanto meno quelle con figli “piccoli”, da gestire, monitorare, accompagnare, sono quelle, cazzo! E che non bisogna vergognarsi del momento in cui sbottiamo, anche se siamo da Zara, accanto ad una donna-manichino che sarebbe disposta a strapparsi a morsi la giacca che si è comprata se, in lontananza, vedesse una ragazza under 30 vestita uguale a lei.
No. Non bisogna vergognarsi, se accade.
Non bisogna giudicare, se assistiamo ad una scena così.
Perché la vita non è una serie Netflix. Anche se ci si vuole bene, se si è innamorate pazze, folli dei propri figli, la vita è fatta anche di questi episodi. Quelli nei quali sembra che stai sbottando per un vestito, in modo smisurato ma, in realtà, c’è qualcosa di più profondo e non ci vorrebbe un guizzo di genialità per comprenderlo.
Purtroppo, non gliene frega niente a nessuno. Neanche a quello con la faccia mortificata, che non ha capito perché sua moglie si scalda tanto. Nessuno si domanda, con onestà come stiamo, se il mondo si comporti bene con noi, e cosa si possa fare DAVVERO per noi. Se non con una botta di paternalismo e accondiscendenza.
“Lui” non è stato abituato a farsi certe domande, non è cattivo. È una storia più lunga ed antica dei suoi geni, e purtroppo anche tante donne – la stragrande maggioranza- non capiscono e mai lo potranno fare.
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