La settimana del Festival di Sanremo è come quando il trip ti ha preso male ma anziché volare sui draghi di Daenerys, vedi Amadeus, pari pari come l’anno scorso e quello prima e quello prima ancora. E fino a quando non finisce l’effetto allucinogeno, sei costretto a rivivere sempre le stesse cose, vedendo sempre gli stessi volti, ascoltando sempre le stesse voci che raccontano sempre le stesse cose. Un incubo da “Il giorno della Marmotta”, ogni maledetto Sanremo.
Basta, però, dire che non cambia mai nulla. Con la costanza della cometa di Halley, una tantum, cambiano pure i conduttori eh! Basta controllare un attimo. Allora, vediamo: 73 edizioni e ci sono stati Baudo, Buongiorno e Amadeus e qualche inframezzo, tipo blocco pubblicità da 60 secondi. Ora, da un anno ad un altro, il povero Amadeus è costretto a lavorare senza sosta. Ma mettiamoci nei suoi panni: per non perdere il reddito di cittadinanza, ha dovuto dire sì alla prima offerta di lavoro.
E allora non rimane che sperare in un fuori programma, dall’uomo con il maglione improbabile che finge di buttarsi giù dalla platea – perché in realtà non sopportava più la conduzione di Pippo Baudo- arrivando alla lettera di Zelensky, che in realtà è stato messo a tacere quando voleva solo sollevare l’attenzione sull’importanza di acquistare sempre delle t-shirt in stock.
Il Festival della canzone italiana ed il suo pubblico
Il Festival di Sanremo va avanti per inerzia. Tra gente che gli fa fare ascolti perché si addormenta, gente che fa zapping, sperando di beccare il cambio d’abito, e i fanatici. Il Festival si nutre di fanatici. Integralisti duri e puri senza pietà che l’Isis, a confronto, fa meno paura.
I fanatici del Festival li riconosci dal loro codice segreto: “perché Sanremo è Sanremo”. Lo usano come password di paypal, come pin per sbloccare il cellulare, come codice per il lucchetto della bici, ma soprattutto per metterti a tacere. Alcuni fanno il FantaSanremo, altri no. Ma comunque tutti abbandonerebbero i loro cari in fin di vita, compresi gli amici pelosini, se mai dovessero offrirgli una sedia pieghevole davanti all’Ariston. Ma nessuno di noi è perfetto, si sa.
Dopo una settimana di “quel vestito le stava male”, “si ma che palle che lo fanno cantare per ultimo”, “A me piace Ama”, “Però hai visto che quest’anno le donne le hanno fatte parlare di più!”, ti domandi se davvero ne è valsa la pena di spendere tutti quei soldi in melatonina, per ovviare al jet lag.
Il Festival del tacco 12
E poi ci sono pure la canzoni eh. Non così importanti, fino a quando non ne verrai stalkerizzato a luglio.
Ma vuoi mettere le canzoni con le polemiche? Chi è etero, chi omo, chi fuido, chi binario, chi trans (che il passo dal teatro all’ufficio anagrafe è un attimo), chi è femminista di ieri e chi della domenica, chi sta un passo avanti ma è rimasto dietro perché si sta allacciando le scarpe. Ma tutto questo non è niente. Il vero tocco che ti sfalda i nervi, solo per i più fortunati che ancora li hanno ben saldi è : il tacco 12.
Io sto male solo ad ascoltarle, quando dicono T A C C O 1 2. Figurarsi ad indossarlo.
Il tacco 12 & la scalinata. Come fosse una poesia di Leopardi sulla caducità della vita. Non sia mai che oltre la siepe becchi la scalinata dell’Ariston, hai i tacchi, non ti funziona l’ascensore e non c’è manco l’opzione del montacarichi. Sei una donna finita.
Non hanno paura della guerra, del nucleare, del cambiamento climatico, degli haters, della prova costume, del colesterolo, della sanità lombarda, della segreteria del Pd, di Fontana, del caro bolletta, della soppressione dei campus estivi, della lunga messa di Pasqua, della solitudine della vecchiaia, della pensione sociale, di Rete 4, no. Nulla di tutto questo. Loro hanno una sola paura. Scendere una scalinata- per la quale si stanno allenando dai tempi del gattonamento- e dei tacchi alti -unica opzione per le donne che frequentano la tv italiana- per la quale vanterebbero una certa seniority.
Vi prego, abbiate pietà: sparateci.
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